Cosa sono i miei morti?

Lo dico sempre, se dovessi immaginare uno stemma nobiliare per un casato che da me prende genesi, immaginerei che in uno dei quarti fosse presente qualcosa che ricordasse l’ospedale, la sofferenza o la morte. Non ci sarebbe nulla di male se finanche i Gesuiti nella loro iconografia hanno sempre presenti teschi o simboli che ricordano la morte. 
E dire che ciò non ha mai influito più di tanto sulla mia proverbiale ironia. Ho da piccolissimo dovuto fare i conti con la presenza della morte tra la gente a me cara ed ho dovuto conoscere subito cosa significasse essere orfano, cosa significasse l’assenza vissuta come la improvvisa mancanza e sono cresciuto subito se è vero come diceva quel saggio che “si cresce soltanto quando si diventa padre o quando si perde un padre“. 
E’ stato così che in un mondo di “culetti d’oro”, di “figli di”, io mi sono ritrovato ad essere “figlio e padre di me stesso” e da subito ho perso le lacrime o la capacità di piangere, quale corazza per proteggermi dal dolore mio ed altrui. 
Paradossalmente davanti al dolore altrui ho dato sempre la sensazione di distacco, non spendendo parole inutili, riti di facciata ma ho sofferto internamente in silenzio rivivendo i miei dolori, forte apparentemente per dare sostegno ai deboli. 
Così crescendo ho imparato a convivere con la presenza della signora in nero accanto, sentendone quasi i brividi, percependo per tempo gli esiti dei suoi corteggiamenti sulla gente che mi stava attorno, non potendo fare altro che soffrire internamente, con un grande dolore al centro dello stomaco ma senza lacrime.
Ho perso amici prematuramente, ho perso riferimenti e non me ne sono dato mai pace ed ho imparato a non legarmi troppo al mio prossimo per non doverne soffrire tanto per la loro assenza.
Ecco, esorcizzo la vita con l’ironia, per chi è in grado di capirla e prego per i defunti, le anime del purgatorio, più di una volta al giorno, insieme ad un Padre Nostro e a un’Ave Maria e perchè no, un Gloria per tutti i bimbi che non hanno avuto fortuna il tutto anche se da anni non metto più piede in una chiesa. 
Questi sono per me i defunti, sempre presenti, uno per uno e a loro ho dedicato i miei successi per il supporto ricevuto. Ricordo ancora il giorno della proclamazione della mia laurea, quando sparendo prima della festa corsi al cimitero di S. Orsola per distribuire una rosa ciascuno alle numerose tombe di una confraternita da me viste sempre spoglie. 
Ecco volevo ricordare i defunti come faccio sempre, prendendo consapevolezza di essere non soltanto polvere, ma di essere un individuo così debole dal non poter far nulla quando la mia vita offertami in comodato d’uso, mi verrà richiesta indietro e sarò contento di ritrovarli tutti, anche quelli che conoscevo solo di vista e non so cosa sarà o come si chiamerà, ma sarà certamente qualcosa di bello e regnerà il sorriso, anche grazie alle mie battute ….. ma fin da adesso sono soddisfatto da “figlio padre di me stesso” che quello che è stato fatto è stato parecchio. 
A tutti una buona commemorazione dei nostri defunti.